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In un gesto

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Conosco Claudia da un paio d’anni, solo virtualmente. Non ci siamo mai incontrate di persona, ma abbiamo molto in comune. Siamo molto legate al nostro territorio e alle nostre rispettive vallate, divise da passi alpini e splendidi panorami. Vi avevo già parlato del carnevale di Bagolino l’anno scorso, ma volevo sentire la voce di chi lo vive da protagonista, di qualcuno che lo respira da sempre. Ecco il racconto di Claudia.

Lucia mi ha chiesto di scrivere un post sul Carnevale di Bagolino: uno dei carnevali più antichi di tutto l’arco alpino.Potrei farvi una descrizione dei costumi, spiegarvi come si svolga ma, alla fine, non servirebbe a nulla, non aggiungerebbe nulla.

Cosa c’è nel web che una persona non possa trovare con un semplice click? Quanto ci impiega un utente ad andare su Wikipedia o su un qualsiasi sito ufficiale, digitare qualche parola chiave e conoscere l’abc di questo evento? Nulla. Appunto, giusto un click. Non mi resta che togliere qualsiasi inibizione letteraria o pretesa di fare un articolo: risulterebbe lezioso e scolastico. Non è questo il mio scopo. Sì, perché vorrei portarvici dentro a questo carnevale, vorrei che poteste sentire,  intimamente, anche solo per un attimo, quel nucleo ancestrale, quel battito profondo che pulsa; quel richiamo che, improvvisamente, senza controllo, spontaneamente, ci riporta indietro, oggi come allora, al 1500.

A volte sembra che il tempo non sia passato; altre, guardi il borgo: l’architettura si è in parte modificata,  eppure – vi assicuro – in quei giorni, anche le antiche case si esprimono. Parlano. Passeggi tra i vicoli, ed i muri, grandi e possenti, storti come un ramo di nocciolo, si manifestano e sembrano dirti:  tu sei tutto ciò, questo luogo è parte di te e tu ne sei lo specchio. Lo sei sempre stato, anche quando ancora non esistevi. Rifletti e capisci che sei l’essenza umana dei monti e dei prati, che dentro di te, c’è un fulcro che ti ricorda chi sei. Sempre, ovunque.  Sei il profumo del fieno appena tagliato, sei la fatica del contadino, sei figlio delle donne che arrivavano esauste a casa, dopo aver lavorato la terra dall’alba al tramonto, gravide o no, fino anche al giorno prima del parto.

Le donne del mio paese; le stesse che portavano il concime sulle ceste e che, per due giorni erano chiamate a lavorare fuori casa. Le vedete? No?  Allora vi ci porto io. Immaginatela così: una ragazza in età da marito. E’ in mezzo al prato. Lavora e canta una canzone per il suo amato e sembra dirgli: mi senti? Non ha profumo intorno a lei; trasporta letame. Eppure profuma di bellezza, di genuinità. Ha un vestito scuro, tessuto a telaio dalla famiglia, un grembiule che le possa mantenere il vestito più a lungo, un foulard sulle spalle per proteggersi dall’aria ed uno sul capo. E canta. Canta in dialetto e dice al suo amato: sono qui, per due giorni lavoro qui. La giornata finisce, il sole tramonta e si cena. Un piatto povero ma dignitoso. Un sorso di latte, bevuto in una ciotola di legno e un pezzo di polenta. Il cucchiaio, nel centro, ha un buco. Il latte deve scendere, non può finire subito. Non ce n’è altro.

Scende la notte. Stanchi, sono tutti nel fienile. Si raccontano storie, si discute di quello che si dovrà fare l’indomani, si accudiscono i più piccini e, improvvisamente, un rumore di zoccoli… Eh sì, un rumore deciso di zoccoli. Non ci si può sbagliare. Qui  i chiodi sono messi sotto la suola; le scarpe così si consumano meno. Tutto è usato con parsimonia. Nulla è lasciato al caso. Dalla cascina vicina ecco che arrivano degli uomini dal volto coperto. Mascherano il timbro e la postura, ma il linguaggio è del posto. Vengono accolti nel fienile. Il fuoco è acceso. Si ride, si scherza, si palpa (e qui -  badate – la palpàdä non è un gesto volgare, ma un antico rituale fatto tra i commilitoni romani; significa prosperità nella tua casa) e…ci si guarda. Lei, quella lei che cantava è lì, vicino al fuoco. Come comunicare con lei se non oscurando il proprio volto e dire ciò che si prova se non in versi, se non scherzando, con autoironia? E’ dialetto, è poesia. Anche questo è per me il vero volto del Carnevale.

Ancora oggi le donne, sotto l’abito tradizionale, portano calze di colore diverso: bianche se fanciulle, rosse se nubili e spose, viola se vedove. Sapete, io me la vedo lei che, in mezzo al prato, cantando, avrà fatto intravedere il colore della calza, spostando uno zoccolo o facendo finta di avere un po’ d’erba che le desse fastidio.  Nulla è perso di quel tempo. Oggi come allora, se uno è consapevole di ciò che indossa, può risentire i canti, captare i profumi e assumere uno stato d’animo anche solo nel momento in cui, alzando le braccia verso l’alto, si prepara per indossare il vestito. Alzo le braccia, infilo la èciä (questo è il nome dell’abito femminile) e sento questo: orgoglio per la mia Terra. Alzo le braccia e ciò che indosso è un abito da sposa, tessuto più di cent’anni fa. Chiudo i gancini, dondolo a destra e a sinistra con i fianchi e penso: chissà quanto lavoro avrà visto quest’abito, rinforzato sul busto, rattoppato per non essere cambiato eppur così in buono stato! Chissà se la donna che l’ha cucito avrà cantato qualche canzone e se, al tepore di un fuoco, avrà scambiato i primi sguardi d’amore.

bagolino vecchia

E così, in un gesto, comprendo  perché le donne della mia famiglia, di ogni famiglia di questo borgo, da secoli, di generazione in generazione, di madre in figlia, abbiano la smania di conservare gli abiti. L’odore di naftalina, quando li tiri fuori dal baule, ti dà quasi un sospiro di sollievo. L’odore si esala, si sa. Le tarme, no.

Queste righe descrivono solo una parte del carnevale, la meno conosciuta, la meno valorizzata: espressione di una vita di fatica, di rinunce, di attaccamento alla terra. Una vita semplice, nel suo significato più vero, più puro. E forse, ora, se verrete a Bagolino e incontrerete i màscär, vi torneranno alla mente queste poche parole e, pensando a quella fanciulla, riuscirete anche a vedere che, dietro ad una maschera e ad un gesto inconsueto o parodiato, c’è molto di più: c’è il senso di popolo.

Giunti a questo punto,  dovrei raccontarvi la seconda parte del Carnevale di Bagolino: i Ballerini. Facciamo così: siccome è “lunga” e non voglio tediarvi, bevetevi un buon bicchiere di vino consigliato da Lucia.

Nel frattempo, continuo a scrivere. Aspettatemi…

Claudia Fusi


Archiviato in:Articoli, Le cose che mi piacciono, Nel territorio bresciano, Uncategorized Tagged: Bagolino, carnevale, provincia di brescia, tradizione popolare

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